Testimonianze

Abbiamo raccolto le voci dei nostri parenti, per creare uno spazio tutto nostro in cui raccontarci gli uni gli altri. Ascoltiamo, impariamo e sogniamo.

Mia madre, insieme alle sue sorelle e al fratello, ha sempre vissuto nel ricordo di un padre alto, forte e generoso. Un uomo che sapeva farsi amare e rispettare, che aveva mani grandi e un cuore capace di abbracciare tutti. Ma nelle loro memorie quel volto sorridente era sempre accompagnato dall’ombra di un dolore: la malattia che, a soli quarantasette anni, lo aveva consumato e umiliato, sottraendogli la forza e la dignità fisica che lo avevano reso un punto fermo per la famiglia.

 

Quel ricordo non era solo un racconto tramandato: era una ferita che non smetteva di pulsare. Nessuno di loro dimenticava la lenta spoliazione, l’impotenza di fronte a un male che allora non aveva nome per me, ma che per loro aveva il peso di un incubo vissuto.

 

Quando avevo ventidue anni, quell’incubo uscì dalle storie del passato e bussò alla mia porta. Mia madre, che avevo sempre visto come una donna energica, instancabile, sicura di sé e capace di affrontare ogni ostacolo, iniziò a spegnersi. Fu lei stessa a riconoscere l’avversario: la stessa malattia che aveva colpito suo padre — la sclerosi laterale amiotrofica del secondo motoneurone. In pochi mesi, la vidi consumarsi.

 

Furono mesi devastanti, di dolore che non trovava riposo, di sgomento senza tregua. Le umiliazioni inflitte da quella malattia erano emotivamente ingestibili: era come assistere a un lento naufragio sapendo di non poter gettare alcuna corda. Il 26 gennaio 1993, il suo respiro si fermò.

 

Il vuoto che lasciò era ingovernabile. Fu come se la mia vita avesse perso un asse portante. Forse per riempire quell’assenza, forse per cercare un filo di continuità, volli un altro figlio. Così, l’11 novembre dello stesso anno, nacque Giovanni. Non avrei mai immaginato che, tanti anni dopo, il suo nome sarebbe stato legato allo stesso nemico che aveva piegato mio nonno, mia madre, mia zia, mia cugina.

 

Oggi Giovanni combatte contro il mostro SLA. E io combatto con lui, ogni giorno, armata di preghiera e di speranza. Non sono sola: accanto a me c’è mia figlia Carolina e c’è Francesca, instancabile e preziosa, che si prodiga notte e giorno nella ricerca di una via, di una cura. Insieme ad altre poche persone, hanno raccolto e costruito un patrimonio umano e scientifico di valore immenso. Un presidio fragile e forte al tempo stesso, come una candela che resiste al vento, e che non smette di illuminare la notte.

Testimonianza di Patrizia, Corigliano Rossano, Agosto 2025

Ho conosciuto la SLA all'età di cinque anni, ricordo il dito fasciato della nonna, poi il suo respiro affaticato, la ricordo seduta a una sedia con intorno i suoi 5 fratelli e sorelle. Ricordo di aver preso a calci e a pugni la porta del suo appartamento, mentre tentavano di tenermi lontana con un cartone della Walt Disney. Ricordo di aver spiato oltre il muretto, allora così alto per me, che separava l'ingresso dalla cucina. Ricordo di essere scappata via. Era il pomeriggio della sua scomparsa.

Sono cresciuta sapendo che una minaccia incombeva principalmente su mia madre. Nel 2018 e nel 2019, ho messo al mondo due bambini. Solo ora mi rendo conto quanto sia stata incosciente. Non conoscevamo all'epoca il nome del gene mutato nella nostra famiglia, dunque, temo che non avrei potuto fare uno screening prenatale efficace. 

La malattia fece di nuovo irruzione nelle mie notti nel 2019. Per la prima volta, proiettavo me stessa davanti al dolore che, ammalandomi, potrei provocare nei miei bambini.

Nell'estate del 2024, poi, é arrivato il tempo del terrore. Settembre porta con sé la temuta sentenza. Cosa ne sarà di noi?

Ho fatto il prelievo per avviare l'indagine genetica a Gennaio 2025, ma non ho ancora avuto il coraggio di ritirare il referto.

Per paura di sviluppare la malattia, si potrebbe pensare.

Non ho nessuna paura per me stessa. Non conosco ancora il risultato soltanto perché, qualunque sia il responso, alimenterebbe il mio senso di colpa.

Mi faccio tante domande, ma so di non poter avere tutte le risposte. Le domande più difficili da gestire sono, però, quelle dei miei bambini che capiscono piú di quanto io non possa spiegare.

Nella mia profonda impotenza dinnanzi a tutto questo dolore, scrivere email ai ricercatori di tutto il mondo, parlare con loro di come stia avanzando la scienza e di cosa noi possiamo offrire loro nel concreto, mi aiuta a sopravvivere. 

Testimonianza di Carolina, Roma, Agosto 2025

Non c'è nessuna frase che possa spiegare ciò che sento, in questo momento, meglio di questa canzone Brunori Sas... a chi vuole spegnere la fiamma di speranza che accende il mio cuore, a chi mi dice 'ci vogliono anni e anni per queste cose', a chi mi dice che saremo sempre degli incurabili, a chi mi dice che Dio finora non ci ha aiutati... io rispondo canticchiando:

"Tutto quello che mi serve adessoè ritrovarmi con me stesso perché spessocon me stesso ritrovarmi non mi vaCerto non si può nemmeno staretutto il giorno a disegnareuna casetta con il solequando il sole se ne va

La realtà è una merdama non finisce quapassami il mantello neroil costume da torerooggi salvo il mondo interocon un pugno di poesie

Non sarò mai abbastanza cinicoda smettere di credereche il mondo possa esseremigliore di com'è

Ma non sarò neanche tanto stupidoda credere che il mondopossa crescere se non parto da me"

Parente tra tanti, Italia, Agosto 2025

La mia famiglia paterna é originaria di un paesello in Calabria, Italia. 

L'arrivo in Argentina fu un viaggio pieno di coraggio e sogni: inizialmente viaggiarono il mio papà - che aveva solo 9 anni -, insieme al nonno, attraversarono l'oceano nella più completa incertezza.

Successivamente, la nonna Annamaria intraprese lo stesso viaggio, però non venne sola: portò con sé le mie due zie e mio zio, completando la famiglia in questa nuova terra.

Con loro viaggiavano le tradizioni, le ricette e questa forza silenziosa che ci avrebbe sostenuti per generazioni.

La SLA si portò via la nonna quando avevo tredici anni, e questa perdita ha marcato la mia adolescenza per sempre.

A Maggio 2025 ricevetti una video-chiamata dalla Calabria. Era la nostra parente Francesca, e le sue parole mi raggelarono: "Una nostra parente di cerca per la malattia ereditaria".

Il cognome della nonna non celava solo storie di vita e tradizioni di una terra lontana; portava con sé anche un'ombra che ci accompagna: la SLA. 

Carolina mi raccontò che stavano cercando per cielo e per terra una qualsiasi speranza. Nella sua voce sentii quella paura che anche io conoscevo, però anche la determinazione che nasce solo dall'amore profondo e viscerale per un fratello. 

La SLA non era nuova per noi. Si portò via la nonna, poi mio padre - solo quattro anni prima che si ammalasse mia sorella - e alla fine, l'11 Novembre 2013, si prese Gladys. Solo pochi giorni prima, ero arrivata a Buenos Aires dall'Australia, e mia sorella, con la poca forza che le rimaneva, mi scrisse un'email breve ed efficace: "Voglio vederti". Non fu necessario aggiungere altro.

La vidi, la malattia le aveva rubato quasi tutto, però i suoi occhi continuavano a essere gli stessi. Comunicammo con lo sguardo con i gesti, con il linguaggio interiore che la SLA non puoi mai rubare.

Il giorno in cui ci lasciò, ero seduta accanto a mia zia, piangevamo in silenzio. Repentinamente, mi guardò e mi disse con fermezza: "Qui termina questa malattia. Proprio qua". 

Le credetti, lì terminava tutto.

Il nostro albero genealogico però in questi mesi ci ha rivelato un'altra verità: 11 parenti erano morti di SLA prima di lei, e altri sarebbero venuti a mancare altrove. Più di 30 di noi sono oggi ad alto rischio. Tra questi, bambini e giovani adulti.

Oggi ci uniamo attraversando oceani e continenti per trovare una soluzione.

Ci offriamo per partecipare in tutti gli studi scientifici nel mondo, per mandare i nostri campioni anche quelli di coloro che oggi sono asintomatici, con la speranza di trovare un rimedio. Se riusciamo a trovare una strada per Giovanni, avremo la speranza di aiutare il mondo intero, di liberare altri dalla SLA.

Quella malattia in cui cercai di non pensare per oltre 10 anni, continua invisibile e spietata, prendendosi altre vite. Una malattia che ci ha allontanati e ora ci unisce, ci suscita forza e ci spinge a trovare soluzioni laddove prima regnava solo la disperazione.

E così - tra memoria, dolore e speranza -, andiamo avanti, VAMOS ADELANTE, portando nel sangue e nel cuore la forza dei nostri avi calabresi.

Sandra, Melbourne, Agosto 2025

Eccomi qua, a scrivere qualcosa che ho dentro da 26 anni.

Nell’ autunno del 1998 mio padre, Pasquale, è stato colpito da SLA. All’inizio non sapevamo di cosa si trattasse, dopo alcune visite all’ospedale di Corigliano, i miei si erano rivolti all’ospedale di Torino sperando di trovare più risposte e una cura al male di mio padre.

Io e i miei fratelli eravamo giovani e mia madre fu l’unica a partire con lui. Noi ci aspettavamo di vederli ritornare nel giro di una settimana, non fu così. I miei tornarono da Torino nel luglio del 1999, ricordo bene il momento in cui rividi mio padre, era irriconoscibile, ebbi un tuffo al cuore perché capii subito che non sarebbe più guarito. Tre giorni dopo morì.

Tre anni dopo, suo fratello, mio zio Cosimo, fu colpito dalla stessa malattia. Abbiamo rivisto in lui gli stessi sintomi avuti da mio padre. Ricordo che provò a combattere la malattia con tutte le sue forze, ma aveva la consapevolezza che probabilmente non sarebbe riuscito a sconfiggerla, perché quello che era successo a suo fratello era impresso nella memoria.

Quando abbiamo perso anche zio Cosimo, nel giro di 6 mesi, tutti in famiglia abbiamo pensato che quella malattia avesse carattere di tipo ereditario, probabilmente genetico.

Tuttavia, si sapeva ancora troppo poco sulla SLA, e personalmente, fino ad ora, ho cercato di ignorarla perché non esiste una cura.

Ora, c’è finalmente una speranza. C’è la possibilità di arrivare ad una cura. Abbiamo l’occasione di provare a curare Giovanni, un parente di cui non sapevo nulla fino a due mesi fa. E se la cura funzionerà per lui, con ogni probabilità, potrà funzionare per tutti i componenti della famiglia, e per le future generazioni, che dovessero imbattersi nella stessa malattia.

Giovanni, Bologna, Agosto 2025

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